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IL PREMIO BIZZARRI: DOCUMENTARIO, LAVORO, IMPRESA


SARA GIANNINI, Assessore all' Industria e al Sostegno delle Attività Produttive della Regione Marche

Come con la sua vita ha dato esempio il nostro illustre conterraneo a cui è dedicato questo Premio giunto alla sua ventesima edizione, l’impegno culturale può essere “documento del vivere”. Fare cinema significa mettere a frutto cultura e tecnologia per avere  una presa diretta sulla realtà viva, espressa dalla società che si attraversa. Interesse culturale, poetica cinematografica, documentario, si fondono così nell’impegno civile, nella narrazione del quotidiano e delle storie di personaggi di oggi e di ieri. Il lavoro e il progresso che caratterizzano questa edizione, sono concetti che rimandano alle cronache attuali. Oggi il lavoro da articolo primo della nostra Carta fondamentale è transitato dal diritto al sogno, specie per le giovani generazioni. Non sono bastati trattati europei e dichiarazioni solenni, i giovani in Italia, più che altrove, faticano a trovare un lavoro che progressivamente evolva in occupazione stabile, che fornisca prospettiva di vita. Forse accanto ad una Banca centrale europea con gli enormi poteri di cui dispone, c’è bisogno anche di un’autorità europea, con poteri altrettanto forti, che abbia il compito di favorire il ritorno del lavoro dal sogno al diritto. Il cinema è uno strumento estremamente potente per divulgare idee e promuovere prese di coscienza collettiva.
Di grande significato la scelta della Fondazione "Libero Bizzarri" di affrontare il tema del Lavoro per la ventesima edizione della Rassegna del documentario Premio Libero Bizzarri.
Il tema del lavoro per un lungo periodo è stato il grande escluso, tranne rare eccezioni, dal cinema ed è ritornato di recente al centro dell'attenzione in particolare nella sua dimensione neo liberista di lavoro precario, insicuro, flessibile, che minaccia innanzitutto le relazioni interpersonali e famigliari, in cui le donne spesso sono le prime vittime. Il fenomeno è transeuropeo e fa riflettere su aspetti comuni della condizione socio-economica del Vecchio continente e su certe scelte fatte nel recente passato su cui va aperta una profonda riflessione. Il lavoro non ha senso senza l’impresa ed è cambiato quello perché è cambiata questa. Va recuperata la dimensione umana del lavoro, la realizzazione personale che transita nel manufatto, come avviene nell’artigianato, di cui è ricca la nostra regione. Il legame con il territorio come antidoto alla delocalizzazione selvaggia. Occorre liberare l’impresa dal giogo finanziario di un’economia sempre meno reale e sempre più dipendente dalla finanza internazionale, dove però reali sono i drammi causati dalla crisi e narrati dalle cronache. Documentare, conoscere, prendere coscienza, cambiare, un processo collettivo che il cinema può agevolare.